Giallo e rosso. Sono i colori della bandiera catalana, esattamente come quelli della Sicilia. Cinque milioni e mezzo i siciliani, 5 milioni e mezzo gli aventi diritto al voto in quella regione della Spagna. E a guardarle bene Barcellona e Palermo, entrambe affacciate sul Mediterraneo, dal clima simile, hanno anche atmosfere comuni fra la passeggiata di Port Vell a quella del porticciolo della Cala.
Atmosfere comuni, ma solo atmosfere. A fronte di una città, Barcellona, viva, allega, economicamente sveglia, pulita, restaurata per intero, funzionante a partire dai mezzi pubblici, c’è una Palermo economicamente morta, sporca, maleducata, cadente e decadente.
Eppure Palermo e Barcellona sono legate a partire da quella Santa Eulalia dei Catalani piccola chiesa in centro nascosta fra i vicoli che è un omaggio alla patrona di Catalogna. Il palermitano che arriva a Barcellona, poi, respira aria di casa e vede quella città come la propria o meglio come vorrebbe che fosse la propria. Ma da oggi il destino delle due città potrebbe dividersi non più soltanto per la cura dell’una e l’abbandono dell’altra.
I Catalani hanno detto un sì all’indipendenza. si badi non è un sì diretto ma una votazione che è stata trasformata in una sorta di referendum indipendentista. La risposta è stata forte. Alle urne si sono presentati il 77% degli aventi diritto al voto: il 9% in più rispetto alle ultime elezioni.
Ma non è stato solo un successo di presenza alle urne, che di questi tempi governati dall’anti politica è già un mezzo miracolo. E’ stato un successo per i partiti indipendentisti che hanno vinto la loro sfida. Andranno al governo della Regione catalana anche se per farlo dovranno allearsi con un piccolo partito della sinistra, quel Cup che chiede il posto di governatore.
La sfida Catalana, ora, è trovare un accordo importante e senza guerre intestine e avviare il percorso che porti alla promessa fatta al popolo: indipendenza da Madrid entro il 2017.
Dunque in un mondo globalizzato, in una Europa che non riesce più ad essere attrattiva per i popolo, la Catalogna sceglie di andare nella direzione opposta. E la Sicilia che fa? Tutto questo avviene proprio mentre in Italia e in Sicilia si sviluppa il sentimento opposto ovvero il partito trasversale contro l’Autonomia additata come la madre di tutti i mali di Sicilia, la madre del malgoverno, dei buchi di bilancio, dell’assistenzialismo esasperato, della burocrazia che caccia investimenti e investitori.
Certo le differenze ci sono e sono sostanziali. La Catalogna a iniziare da Barcellona può rivendicare a Madrid di aver speso bene le risorse comunitarie, di avere un pil pro capite superiore a quello del Paese, di avere un disoccupazione inferiore alla media spagnola. tutte cose che la Sicilia non può fare mostrandosi, al contrario, come il fanalino di coda italiano (o quasi).
Quale può essere al ricetta giusta per la Sicilia? diventare una Regione ordinaria seguendo un percorso ormai già avviato? Mantenere lo Statuto Autonomo o seguire l’idea del movimento indipendentista che sta crescendo anche qui? Difficile a dirsi viste le tante, troppe differenze. Oggi pomeriggio, intorno ad un tavolo, a Palermo intanto ci saranno i rappresentanti di partiti e movimenti per parlarne. La catalagno vota l’Indipendenza la Sicilia ne parla